Il “piccolo leone„ Toscan Goffredo da Rovato

«Gli eroi sono sempre presenti»

GOFFREDO TOSCAN DEL G.U.F. DI BRESCIA VOLONTARIO IN A.O.

La figura eroica del “piccolo leone„ in una lettera del capitano Pellizzari



Sottotenente di Artiglieria Toscan Goffredo di Giovanni Battista e di Buizza Carolina, nato il 4 settembre 1913 a Rovato e deceduto per ferite procurate in combattimento il 2 febbraio 1937 a Debano (Jebanò sullo Uebi Scebeli);

È giusto, Goffredo, che questa prima pagina dei tuoi camerati si apra nel tuo nome.
Tu eri dei nostri, come Luigino Tempini e tanti altri; tra noi tu hai vissuto in intensità e in passione la tua vita di f. ardente a fedele. Tu eri dappertutto; presente sempre quando la fatica era aspra e duro il sacrificio. Non discutevi mai, istruivi i premilitari e gettavi parole calde di giovani f., sapevi obbedire sempre in serenità e in silenzio. Solevi guardare, col tuo sorriso schietto e aperto, più in alto e più oltre, Per questo noi tutti ti volevamo bene.
Era giusto che tu dovessi essere primo anche nel combattimento.
Sei voluto partire subito: nessuno di noi dimenticherà mai quella tua impazienza che quasi ti faceva soffrire come un male fisico.
Ci salutasti una domenica di primavera, in un mattino di sole. Sorridevi felice e fiero della tua uniforme di combattente volontario; con semplicità ci parlasti della speranza di farti onore. Poi ti sei perso nella folla. C'era tanta gente, quella mattina, che usciva dalla chiesa. Non ti avremmo rivisto più.
Goffredo, il tuo capitano ha detto bene: «Gli eroi sono sempre presenti». E tu sei presente nel nostro rito e nei nostri cuori.

“In testa a tutti„

Asmara, 12 aprile 1937-XV,
Egregio sig. Toscan, non ho ancora ricevuto alcuna risposta alla mia del 20 febbraio, e non mi resta quindi che pensare ad un disguido.
Torno quindi a presentarmi: capitano Pelizzari. comandante della banda della quale con tanto onore e tanto valore ha fatto parte suo figlio.
L’avevo richiesto io al comando del 2.o raggruppamento A.S. dove tutti lo amavano, dal colonnello comandante all’ultimo ascaro. E lo avevo richiesto per le qualità del suo animo che aveva conservato la purezza della prima età unitamente ad una saldezza adamantina.
Magnifico elemento, eravamo diventati due amici. I combattimenti di Socca, (17-18 ottobre), quelli del Gergertù (7-8-10-11 novembre) ci avevano affiatati spiritualmente. Lo avevo proposto por due medaglie d' argento sul campo: una per Socca, quando aveva conquistata una mitragliatrice ed una per il complesso del Gergertù. Poi, Lo confesserò che non vedevo più volentieri quella giovine vita nell'elemento burrascoso della banda sempre esposto in pericoli e in combattimenti. Ho cercato di allontanarlo, inviandolo a Dire Daun per degli incarichi amministrativi. Macchè! Mi raggiunse, per la partenza per gli Arussi, quasi subito ad Hadama, dove la banda sostava. Poi, in una marcia fu morsicato da un cane, per quanto non vi fosse il benché minimo dubbio, lo inviai ad Addia Abeba per la cura antirabbica. Era un modo come un altro di allontanarlo. E questo lo facevo în coscienza. Era giovane, bravo, coraggioso. Noi invece siamo dei vecchi arnesi di guerra. Quando partì, mi piantò il muso, e piangeva non voleva saperne di andarsene. E quando seppe che la banda aveva sostenuto i primi combattimenti, se ne ritornò prima di aver finita la cura. Lo cicchettai: ma come volergliene, di fronte al suo sorriso costante?
Il 31 gennaio fui nuovamente ferito io. Egli fu un fratello per me. E venne il giorno 2 febbraio. Il pomeriggio attaccammo il nemico alle 15. Poco dopo abbandona il posto che gli avevo assegnato per venire da me. Fu salvato una prima volta dall' attendente somalo che non esitò fargli scudo del proprio corpo a costo della vita. Tanto era l'amore di cui era circondato. Poi in un attacco alle brevissime distanze contro un certo Scimellis, fu colpito al cuore.
Signor Toscan, l’ho portato via io, trascinandolomelo alla meno peggio, che tutti, dico tutti i suoi uomini gli caddero attorno piuttosto che abbandonarlo. E se questo può essere di consolazione al cuore Le affermo che ben 35 gregari gli furono vicini senza retrocedere per non abbandonare il «Frengi Tennise»
Gotfredo non ha sofferto. Un foro d' entrata e uno d' uscita; Un sorriso sulle labbra, Riposa egli nel cimitero di Malca Dadeccià; sulle rive dell’Uebi Scebell.
Questi per sommi capi la sua storia. Le unisco l’ultima proposta che ho fatto per lui; una terza medaglia d’argento sul campo.
Dovrei e vorrei dirLe ancora molto. Ma non so.
Io lo chiamavo il Cit. Lo avevo richiesto sapendo quanto e come aveva fatto ad Hananlei.
La sua figura di figlio: una vibrazione continua di amore per la sua famiglia; per la mamma minuta e deligiosa, per il babbo serio e buono, per i fratelli, uno dei quali era stato molto ammalato ed aveva dovuto sopportare molte operazioni. Il suo orgoglio sarebbe stato di poter ritornare decorato, per poter avere i complimenti loro.
Faceva tranquillo il suo dovere d'italiano e di ufficiale, che sentiva profondamente e senza vani eloqui. Il suo comportamento in battaglia è sempre stato quello di un valoroso che sprezza il pericolo. E se la parola «eroe» non fosse oggi diminuita dallo abuso, in pura coscienza di soldato, lo chiamerei così. Egli era questo ed altro.
Le dirò ancora che il suo nome ricorre sempre nelle fantasie dei gregari, che pure non sono larghi in elogi.
Che potrei dirle per il suo cuore di padre e per quello della mamma? Che non ha sofferto cadendo nell’assalto tremendo, in testa a tutti; che il suo nome è soffuso di gloria pura; che il rimpianto è stato unanime pure in mezzo a questi uomini di guerra, usi a guardare bene in faccia la morte. Di me non Le dirò: era un fratello più piccolo. Ed Ella forse mi comprenderà quando Le dirò che il ricordo dei miei morti mi fa rimanere ancor più solo in mezzo ai nemici. Una centuria, i superstiti suoi, oggi portano Îl suo nome.
Ho con me le sue cose; un portafogli, una penna stilografica, la bandierina che portava in testa, perforata e consacrata dal suo sangue, le due cassette. Porterò tutto a Roma, dove mi reco per la rivista del 9 maggio, il mio indirizzo è: Pellizzari Omissis- Roma.
Sarò onorato se Ella vorrà permettermi di consegnarle il tutto personalmente, Ma se questo mio viaggio a Brescia mi fosse impossibile per ragioni di servizio. La pregherei voler essere il mio ospite in Roma.
Voglia sig. Toscan, essere Interprete dei miei sentimenti presso la Sua signora, la mammina, e gradire i miei ossequi. Condoglianze, no, Gli Eroi sono sempre presenti.

Capitano G. Pellizzari



[...] Il nostro scritto non potrebbe illustrare la fede, il suo supremo disprezzo del pericolo, la sua sorridente serenità, il suo spirito ardente così come lo possono le motivazioni delle sue quattro decorazioni al valore, così come lo può un rapporto del generale Bertoldi che da soldato ha detto del soldato Toscan parole schiette e insieme commoventi.
Ecco quanto il 22 marzo dello scorso anno il generale scriveva ai familiari del giovane Eroe: «Il sottotenente Toscan era stato richiesto in ottobre u. s. dall’allora tenente Pelizzari, comandante una banda amhara, al colonnello Carnevali comandante del 2 raggruppamento A. S., cui apparteneva, in un momento in cui la banda era chiamata ad agire e le occorreva altro ufficiale, oltre il comandante. Ed il Pelizzari aveva fatto cadere la scelta sul giovane Toscan che, sotto il perenne sorriso, nascondeva una volontà seria, una netta coscienza, una forte idealità.
«Verso la fine di ottobre le azloni della banda cominciavano. In val Soca (a sud di Durrò), sul Cercer, movimenti di ribelli richiedevano l'Invio della banda. Il sottotenente Toscan, col suo reparto in avanguardia, li attacca, li fuga, conquista una mitragliatrice, abbatte un capo, riscuote l'ammirazione ed il plauso superiore, desta l'entusiasmo dei suoi gregari che gli si cominciano ad affezionare devotamente. Poco dopo ancora, ecco la banda ad operare in altra zona vicina (M. Tita a ovest di Durrò); diverse centinaia di ribelli vi si erano asserragliati. Comanda ancora l’avanguardia il sottotenente Toscan che, per ributtarli, sostiene quattro successivi scontri.
«L’11 novembre altra lotta: nuclei avversari erano riuniti a penetrare in un punto della nostra linea. Il sottotenente Toscan contrattacca e rioccupa la postazione. I suoi gregari gli moltiplicano l’affetto e l'ammirazione. Lo chiamano; in senso di rispetto, «Il piccolo italiano», (frengi tennisc).
«Seguirono giorni di movimenti continui, raccolta di armi, sottomissioni, perlustrazioni della vasta zona fra agguati e imboscate di armati isolati o di nuclei disperati, faticosa opera condotta a fine con grande fede.
«IL 7 dicembre la banda è ancora chiamata a partecipare all'occupazione delle regioni degli Arussi e Bale. Il sottotenente Toscan, ricoverato in un ospedale ad Addis Abeba appena dichiarato fuori pericolo, rientra alla banda di nuovo, sulll’alto Uebi Scebeli. Siamo al 30 gennaio. Masse di ribelli sono presenti a Gedeb. La banda, col sottotenente Toscan ancora in avanguardia, piomba sul nemico di sorpresa. La reazione avversaria è violentissima. Il piccolo sottotenente, il giovane Eroe, si batte con inusitato valore, i suoi gregari gli si serrato attorno, la rabbia nemica è soffocata. Il comandante la banda è ferito.
«Breve sosta, poi di nuovo in caccia del nemico per la vasta terra. Il 2 febbraio, a ichano la banda. che fa parte di una colonna libica, è in avanguardia. Il sottotenente Toscan comanda l'ala destra del reparto. L’incontro col nemico avviene rapido.
«Sulla sinistra l'avversario fa strage di due centurie ed ecco Toscan alla vendetta: si slancia, lotta violenta corno a corpo: quattro nostre armi pesanti cadono in mano nemica, La lotta diventa cruentissima, giungono rinforzi libici. Tre armi sono riprese; occorre riprendere la quarta; un ultimo sforzo. ed è Toscan che si butta avanti coi suoi a bombe a mano. Ma una pallottola gli ferma il cuore nella sua corsa impetuosa cade colpito a morte, senza perdere il suo sorriso.
«Molti gregari gli cadono intorno come a dimostrargli il loro affetto e difenderlo. Lo slancio dei superstiti fa rompere il nemico in fuga. lo ributta, lo annienta.
«Così è morto il sottotenente Toscan, il giovane sottotenente dal perenne sorriso, in una corsa verso la gloria!.»
MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE
“Audace comandante di un nucleo di banda in avanguardia, durante un lungo e duro combattimento emergeva per sprezzo del pericolo, sinneto e capacità. In un momento particolarmente difficile dell’azione, attaccava alla testa di un nucleo di gregart una mitragliatrice che ostacolava l’avanzata, catturandola ed abbattendo i difensori. Costante esempio ai propri dipendenti, dava efficace contributo alla buona riuscita dell’azione.”
Gaguissa, 19 ottobre 1936-XIV.

MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE
“Volontario in A. O. già distintosi in precedenti azioni per slancio ed ardire. partecipava con una banda armata a cinque duri combattimenti, lanciandosi sempre primo all’assalto contro il nemico e guidando i suoi uomini con l’esemplo. Ricoverato in ospedale si allontanava per rientrare al reparto ed indi prendere parte con esso ad un aspro combattimento nel cui decorso, contrattaccando reiteratamente preponderanti forze ribelli, cadeva colpito a morte in testa al propri gregari, Esempio di fulgide virtù guerriere e di tudomito coraggio e sprezzo della vita.”
Ciclo operazioni contro Ras Destà, 15 gennalo-2 febbraio 1937-XV

MEDAGLIA DI BRONZO AL VALOR MILITARE
“Volontario in A.O., vice comandante di una banda amara, in tre successivi combattimenti si distingueva per slancio, sprezzo del pericolo ed alto senso del dovere. Primo in ogni attacco, animatore di ogni resistenza, è stato di costante esempio a tutto il reparto. In un momento critico di un azione si slanciava animosamente alla testa di pochi uomini, al contrattacco di forze avversarie, troncandone lo slancio con violento lancio di bombe a mano.”
Gergertù, 7-8-9 novembre 1936-XV

CROCE DI GUERRA
“Addetto ad un comando di raggruppamento arabo-somalo, incaricato di coadiuvare l’ufficiale ai rifornimenti in due giorni di dura lotta assolveva il suo compito con coraggio ed iniziativa.”
Birgot, 24-25 aprile 1936-XIV.
FONTE: il popolo di Brescia 1937/1938

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