MOVM GIUSEPPE BERTOLOTTI DA GAVARDO

MOVM Giuseppe Bertolotti di Cesare e Teresina Lancellotti nato a Gavardo (Brescia), in località Doneghe l'8 maggio 1890.
Frequentò le scuole elementari e il ginnasio-liceo a Brescia e in seguito la Facoltà di ingegneria dell'Università di Genova. Da questa passò nell'aprile del 1915 alla Accademia Militare di artiglieria di Torino e ne uscì con il grado di sottotenente. A sua domanda, nel dicembre dello stesso anno raggiungeva nel Cadore la 23a Batteria da montagna. Nel 1916, promosso tenente, con la sua Batteria someggiata, veniva dislocato sul fronte dell'Isonzo, e poi per nove mesi fu in Carnia. Nominato capitano, nel settembre 1917 assumeva il comando della 44a Batteria da montagna e raggiungeva il fronte sull'Altipiano dei Sette Comuni a Monte Lozze e poi a Monte Badenecche dove il 5 dicembre dello stesso anno veniva ferito e fatto prigioniero.
Moriva il 29 dicembre 1917 all'ospedale di Innsbruck (ospedale di riserva n.10) «per lesioni d'arma da fuoco e per esaurimento». Sotterato il 1 gennaio 1918 nel cimitero militare di Amras (tomba n3)[indicato nell'estratto di morte]. Il 10 maggio 1919 fu riesumato dalla fossa n8 del campo A e spostato nel cimitero attiguo.
Nel maggio 1923 i resi mortali vengono traslati a Brescia.

IV dicembre
Santa barbara di guerra

Alle ore 14 del 4 dicembre 1917, quando più infuriava il combattimento sulla linea Monte Miela-Monte Badenecche, il colonnello di Collobiano, Comandante l’artiglieria della 52. Divisione, diramava un ordine che terminava con queste parole: «Oggi è Santa Barbara - l’artiglieria italiana la festeggi con onore!»
Quando l’ordine fu recapitato al mio posto di comando sul Sasso Rosso; la festa era già incominciata da un pezzo. L'aveva iniziata il nemico fin dalle cinque del mattino nel settore di Asiago, con un violentissimo bombardamento che si era mano mano esteso, fino ad investire il Monte Badenecche, ove resisteva dal 21 novembre, assieme agli alpini del gruppo Scandolara, la 44. batteria someggiata. Era quella stessa batteria che già il 25 giugno aveva valorosamente sostenuto il terribile urto nemico sul Monte Ortigara ed aveva ceduto sopraffatta dal numero, quando il proprio Comandante era stato trascinato via prigioniero e crivellato di ferite. Inviati nelle retrovie (S. Zenone degli Ezzelini) i resti della gloriosa batteria, essa era stata rapidamente ricostituita ed era da poco rientrata al mio gruppo, al comando di un purissimo eroe bresciano: il capitano Giuseppe Bertolotti. E così, a distanza di pochi mesi, la medesima batteria veniva nuovamente a trovarsi in assai critica posizione, dato che la caduta del Monte Badenecche, avrebbe provocato quella di tutto il massiccio di Castelgomberto.
Era necessario sostenere l’ultimo baluardo che ancora restava in piedi a difesa della nostra linea marginale; difesa estrema, quindi, per la quale nessun sacrificio sarebbe stato di troppo. Ma a che cosa serve il valore personale di un pugno di eroi, quando si ha di fronte una schiacciante superiorità di battaglioni e di batterie di ogni calibro? Invano i prodi alpini della 60. compagnia del battaglione «Vicenza» e quelli del battaglione «Bassano», si gettano al contrattacco degli austriaci che sono riusciti a girare alle spalle della 59. compagnia, riprendono parte delle trincee perdute e fanno una sessantina di prigionieri; la nostra linea, sulla colletta fra il Monte Miela e il Badenecche è già stata sfondata e la sorte di quest'ultimo, circondato da ogni parte, è ormai segnata.
Non resta agli artiglieri della 44. batteria, che cercare di vender cara la loro pelle ed a ciò essi si accingono col massimo entusiasmo, fieri che la sorte abbia loro riservato l'onore di festeggiare la Santa Barbara di guerra, nel modo più ambito e più degno per un artigliere; [...] dal Sasso Rosso, si prodigano in aiuto della 44., con un tiro di sbarramento oltre la cresta del Badenecche; ma la celerità del tiro ed il conseguente enorme consumo di munizioni, rendono difficile il rifornimento; qualche pezzo, troppo arroventato dal rapido succedersi dei colpi, finisce per incepparsi, le perdite causate dal tiro di controbatteria dei grossi calibri nemici, riducono sempre più il numero dei serventi. Gli artiglieri della 44. batteria sparano a zero, ma gli austriaci sono già in mezzo ai pezzi, la lotta continua ora con le.bombe a mano, gli uomini sì azzuffano all’arma bianca. In mezzo a tanto frastuono si ode la voce del capitano Bertolotti che, scaricate sul nemico le cartucce della sua pistola, continua ad incitare tutti alla più accanita resistenza. Ma quella voce diviene sempre più fioca, per la forte perdita di sangue.
Il capitano è già caduto, più volte, ferito a morte. Alcuni soldati austriaci, ammirati di tanto eroismo, lo raccolgono pietosamente, ma, mentre lo trascinano via, egli si volta ancora verso i suoi soldati e li incita a. morire.sui pezzi, piuttosto che cederli. Li saluta, infine, al grido di: «Viva. l’Italia - Viva Santa Barbara!».....
Pochi giorni dopo; egli moriva in un ospedale di Innsbruck lasciando ai suoi familiari la lettera che qui trascrivo:
«Miei adorati Babbo e Zia, per confortarvi nel vostro immenso dolore. pensate che io sono morto perché l'Italia non fosse una trista famiglia ridotta a dimenticare il suo passato e ad ignorare i predestinati diritti delle sue generazioni future e non si logorasse e invilisse nella vita di ogni giorno, scettica e rissosa, indifferente e bassamente cupida.
lo sono morto per accrescere il pregio ed il frutto della vita.
Voi, per onorare la mia memoria, difendetela contro chi mi giudicherà come un esaltato e fate che queste mie idealità abbiano a realizzarsi.
Nella visione di una Italia più grande, più nobile, più potente, più buona, io sono morto contento.
Addio».

Per eternare la memoria di tanto sublime sacrificio, ho proposto che al Comandante dell’eroica batteria, capitano Giuseppe Bertolotti, fosse concessa la medaglia d’oro al Valor Militare con la motivazione seguente:
MEDAGLIA D’ORO AL VALOR MILITARE
“Comandante di batteria nelle più difficili condizioni, in terreno aspro, scoperto, fortemente battuto e sulla medesima linea delle fanterie avanzate, cooperò alla difesa della posizione fino all’estremo limite del possibile. Circondato da ogni parte, non si perdeva d'animo ed incitava i suoi uomini alla resistenza, Ferito più volte moralmente e già prigioniero, non desisteva dall’incuorare gli altri, finchè, rimasto privo di sensi, veniva trasportato in un ospedale nemico, ove mancava pochi giorni dopo, lasciando scritti nei quali si diceva lieto di morire nella visione di una Italia più grande, più nobile e più potente. ”
Monte Badenecche, 4 dicembre 1917.


Con bollettino ufficiale del 29 aprile 1921, la medaglia d’oro veniva concessa e il nome del capitano Bertolotti figura oggi tra le più fulgide glorie dell’artiglieria alpina italiana.
Ed è così che gli artiglieri del 53. gruppo, festeggiarono la loro Santa Barbara di guerra.

Gen. G. FONTANA


Il ritorno di un eroe

Nel giorno che riconduce dinnanzi

Alla nostra anima l'ansia e l’impeto del primo gesto che spezzava l’ignavia e lanciava l'Italia dinnanzi al suo grande e tremendo destino di popolo finalmente libero, nel giorno che revviva la luce di tutti gli eroismi e lo spasimo di tutte le vittorie, Giuseppe Bertolotti, il magnifico eroe ritorna nelle mura della città che lo vide partire.
Il ritorno dell'artigliere che ferito seppe insegnare al nemico come si battono i soldati d'italia e che prigioniero ed agonizzante insegnò agli italiani tutti le parole della fede e della volontà eroica ha oggi un valore immenso. Vorrei quasi dire: Giuseppe Bertolotti, non poteva tornare che oggi. Oggi che Brescia può accoglierlo degnamente, oggi che Brescia è degna di riceverlo perché purificata almeno nell'anima dei suoi giovani.
Colui che ha dato tutto di sé, con una lucida coscienza e con un ardore da apostolo, non poteva ritornare se non quando poteva sentire che il suo sacrificio non era stato vano e che dalla sua morte era nata una nuova vita
Egli non chiede onori, egli non chiede inni; l'Eroe è grande anche nella solitudine.
Ma oggi noi possiamo inginocchiarci e sperare di esser degni di accoglierlo come il fratello forte e buono.
Nel suo testamento, che è il più alto e grande monumento costruito alla sua memoria, vi è una frase grande divina come un poema:
«Difendete la mia memoria contro chi mi giudicherà un esaltato».
Giuseppe Bertolotti, tu eri veramente un esaltato, perchè eri salito sopra alla miserabile e sciatta povertà degli spiriti, perché avevi sentito la necessità di soffocare il grido della vita è della carne dinnanzi alla necessità eroica del sacrificio.
Solamente gli egoisti, i paurosi e gli ignari sono delle povere creature troppo normali; forse anche oggi esse non ti possono seguire, non ti possono capire.
Ma c'è una creatura che vive del tuo spasimo, che ti sente in tutta la tua sublimazione; tuo padre, che trova la forza di vivere perché sente di aver fatto qualche cosa di grande: averti dato una.vita ed un'anima degna di una impresa così grande.
Giovedì, 24 maggio, tutti i buoni e fedeli si raccoglieranno muti intorno alla tua salma e ripeteranno, con una prece, le tue ultime parole: [segue ultima lettera riportata in precedenza].

Fratello buono, anche se la realtà non è quella che tu sognasti e di cui moristi, noi ti promettiamo solennemente che la speranza è vicina, che se la tua grande anima ci assiste e ci guida, la meta sarà raggiunta.
Avanti, dunque, camicie nere della Leonessa, per le nuove lotte: ci guida un Eroe.

Augusto Turati



Medaglia d'oro

L’ULTIMO ATTO D’EROISMO


Comando 53, Gruppo Art. Montagna
Proposta di ricompensa di Medaglia d’oro al valor militare alla memoria del Capitano Bertolotti sig. Giuseppe di Cesare nato a Gavardo (Brescia)
15 Gennaio 1919.

Al mattino del 4 dicembre 1917, un violentissimo combattimento si accese su tutta la nostra linea dell’Altipiano d’Asiago; uno dei settori più fortemente attaccato fu quello del Monte Badenecche, al cui possesso il nemito tendeva con l’evidente scopo dî provocare la caduta dell’importante massiccio di Castelgomberto. Trovavasi in posizione appunto sul Monte Badenecche e vi resisteva fin dal 21 novembre Îa valorosa 44.a Batteria da poco tempo tornata a questo Gruppo, ricostituita dopo la terribile prova sopportata nel giugno sul monte Ortigara. Trattavasi di sostenere l’ultimo baluardo che ancora restava in piedi a difesa della nostra linea marginale, difesa estrema, quindi, per la quale qualunque sacrificio non sarebbe mai stato di troppo. Ed a tale sacrificio sì accinsero entusiasti gli artiglieri da Montagna felici che la sorte avesse loro riservato quell’anno di poter festeggiare il giorno sacro alla nostra venerata patrona Santa Barbara, nel modo più ambito e più degno per un artigliere: quello di offrirsi in olocausto alla Patria.
Sopraffatta dal numero e circondata da ogni parte, la 44.a Batteria valorosamente cadde difendendo corpo a corpo e fino all’estremo i propri pezzi e con essa cadde ferito a morte il suo eroico Comandante il Capitano Giuseppe Bertolotti. Rimasto prigioniero, impotente a difendersi, raccolto e trasportato via dalla pietà dei pochi suoi soldati superstiti, egli moriva alcuni giorni dopo in un Ospedale ad Innsbruck.
lo mi trovavo il 4 dicembre sulla q. 1196 del Sasso Rosso impegnato con altre Batterie che pur concorrevano alla medesima azione. Col mio binoccolo potei seguire lo svolgersi del combattimento attorno alla 44.a Batteria, vidi i cannoni sparare fino all’ultimo, vidi gli scoppi di bombe a mano ed il trambusto fra i pezzi che indicavano l'ultima lotta per l’estrema difesa: ma degli artiglieri nessuno abbandonò il suo posto, nessuno volle mettersi in salvo, cosicché a me fu impossibile raccogliere allora le testimonianze che mi sarebbero state necessarie per formulare proposte di ricompensa. Ma non dubitavo del contegno del Capitano Bertolotti. Io non l’avevo avuto alla mia dipendenza che un paio di mesi circa; ma durante quel breve periodo avevo potuto avere innumerevoli ed indubbie prove della sua perizia di Comandante, del suo valore altissimo in combattimento, dei suoi esemplari sentimenti patriottici, del suo ammirevole entusiasmo per la causa della nostra guerra. E tutto questo, accompagnato da una modestia che direi quasi eccessiva.
I suoi soldati avevano per lui una venerazione profonda, lo ammiravano’ come Comandante e certamente dovunque lo avrebbero seguito con la massima fiducia, lo amavano come un padre più che come superiore. Egli non solo divideva con loro tutti i disagi, tutti i pericoli, ma nei pericoli era sempre il primo ad esporsi pur di risparmiare i suoi soldati. Ricordo di averlo rimproverato una volta a Monte Lozze perchè, durante uno dei soliti allarmi notturni, corso in batteria, lo trovai che sparava il pezzo di guardia egli stesso aiutato da due soldati che gli porgevano le munizioni. Chiestogli spiegazioni, egli mi rispose con la massima naturalezza che i puntatori avevano sparato tutto il giorno, erano stanchi e desiderava lasciarli riposare finchè era possibile. Ma Lui no, Lui non conosceva riposo, non conosceva stanchezza, non conosceva pericoli e nell'ultimo combattimento che così degnamente chiuse la sua carriera di soldato, Egli volle cadere in modo degno della fama di prode che si era da tutti conquistata; ne ho avuto la conferma negli interrogatori che ho potuto finalmente fare a Vicenza al Comando del Deposito del 2.0 Reggimento Artiglieria da Montagna, fra i prigionieri già appartenenti alla 44.a Batteria e testè restituiti dall’Austria. Ne ho trovati cinque che presero parte al combattimento del Badenecche e cioè i soldati Bonci Santo, Pellegrito Vito, Migali Agostino, Febbo Felice, e Maotto Giulio. E tutti concordi essi mi narrarono che, all'inizio del bombardamento di inaudita violenza, il Capitano provvide a riparare nel miglior modo i serventi e quindi, secondo il suo solito, se ne andò solo e armato di moschetto fra i pezzi, per rendersi esatto conto della situazione.
Malgrado la furia delle artiglierie nemiche, Egli non perdette un istante la sua calma abituale ed al momento opportuno,quando cioè si accorse che le artiglierie allungavano il tiro e le prime pattuglie nemiche cominciavano a comparire dalle antistanti pieghe del terreno, chiamò gli uomini ai pezzi ed aprì un fuoco celere. che tante perdite dovette costare al nemico. Ma la Batteria in posizione avanzatissima, scoperta e già individuata, fu subito violentemente controbattuta ed il Capitano stesso, più volte colpito da a schegge, fu crivellato di ferite. Stramazzato a terra, ma ancor cosciente e sempre meravigliosamente calmo, Egli continuò a dirigere il tiro fino alla più breve distanza ed anche quando gli Austriaci erano già in Batteria, incuorava i soldati a sperare nei soccorsi che sarebbero venuti e li incitava a nosu ce-| dere a nessun costo i pezzì. Ma la sua voce rimase coperta dal frastuono delle artiglierie, al. quale si aggiungeva ora quello delle bombe a mano; la sua energia dovette cedere alla copiosa perdita di sangue, e privo ormai di sensi, Egli fu raccolto e portato via. Tutti i soldati sono concordi nell’asserire che Egli avesse non meno di ventiquattro ferite.
A meglio lumeggiare la figura di questo eroe, mi piace qui trascrivere la lettera ch'Egli inviò ai suoi cari da Monte Lozze, immediatamente dopo l'annuncio telefonico del Bollettino Cadorna del 28 Ottobre 1917
«23 Ottobre 1917

«Miei Amatissimi,
«Ho ricevuto questa sera una vostra lettera e una cartolina che mi confortavano. Quali momenti terribili attraversiamo!
La Patria. nostra in questo momento sta per perdere il frutto di due anni e mezzo dì guerra!
Il bollettino dì questa sera, è inutile ve lo neghi, mi ha impressionato assai.
Lo sfondamento di un tratto del nostro fronte ha fatto sì che il nemico sia entrato nelle nostre ridenti contrade!
Quale orrore!
Occorre la più grande calma e il più grande coraggio per non disperare.
Se le nostre truppe, che pur diedero tante mirabili prove di coraggio, non ritisciraninò a ricacciare il nemico, mi vergognerei d’essere italiano e più di essere soldato!
Quassù si vive nella più dolorosa attesa, e nella più assidua vigilanza in previsione che anche contro questo tratto di fronte il nemico voglia innovare i suoi colpì, colpi che già una volta vennero ributtati.
Non potete immaginare quanto mi sia dolorosa questa inattività forzata.
Spero che la Provvidenza ci assisterà e ci salverà dalla rovina e, peggio, dalla vergogna!
«Materialmente» sto bene e non dovete procurarvi.
Vorrei però non mangiare, non dormire, vivere la vita più aspra, terribile e pericolosa, ma vorrei poter ricacciare il nemico!
Se vi scriverò brevemente non vi preoccupate: è che non mi regge il cuore, fino a che non abbiamo attraversato questo momento di crisi terribile, di scrivere a lungo.
Cercate di essere sereni e calmi e pensate che io compirò sempre il mio dovere e non dovrete arrossire di me.
Con affetto ancora maggiore in questa ora tanto triste vi bacio.

Peppino


E chiudo con la trascrizione di quest'altra lettera ch'Egli preparò fin dal 1915, forse già presentendo la la fine gloriosa alla quale era destinato:

Brescia, 14 Novembre ‘915
«Lascio la mia sostanza in parti eguali al mio Babbo adorato ed alla mia amatissima Zia Luisa Bertolotti che con tante cure mi allevarono e fecero di me, essere gracile, un uomo sano mi permisero così di consacrare questa mia vita alla difesa della Patria.
Incarico Loro di dare un piccolo oggetto, per mio ricordo, agli Zii materni Orazio Lancellotti, Ida Lancellotti vedova Caldirola e Rina Gioia Lancellotti.
«Miei adorati Babbo e Zia, per confortarvi nel vostro immenso dolore. pensate che io sono morto perché l'Italia non fosse una trista famiglia ridotta a dimenticare il suo passato e ad ignorare i predestinati diritti delle sue generazioni future e non si logorasse e invilisse nella vita di ogni giorno, scettica e rissosa, indifferente e bassamente cupida.
lo sono morto per accrescere il pregio ed il frutto della vita.
Voi, per onorare la mia memoria, difendetela contro chi mi giudicherà come un esaltato e fate che queste mie idealità abbiano a realizzarsi.
Nella visione di una Italia più grande, più nobile, più potente, più buona, io sono morto contento.
Addio».

Giuseppe Bertolotti


Ora il Capitano Bertolotti ha lasciato in un dolore che non avrà mai conforto il padre suo ed una zia che lo aveva allevato é lo teneva come figlio. Questi due poveri vecchi, già malfermi in salute, hanno perduto in Lui il solo scopo della loro vita, l’unico essere adorato che così giustamente lo formava tutto il loro orgoglio.
Chi potrà mai compensarli di tanta perdita?
Ritengo quindi doveroso che alla memoria del Capitano Giuseppe Bertolotti sia concessa la più alta onorificenza al valor militare; sarà questo degno atto di omaggio verso un eroe che diede entusiasta la vita nella radiosa visione d’una più grande Italia e conforto per una famiglia che a tale visione sacrificò quanto aveva di più caro. Lo propongo pertanto per la ricompensa di medaglia d’oro al valore militare, integrando il suo eroico contegno con la seguente motivazione:
[segue motivazione]

Il T. Col. Comandante Giovanni Fontana.



MEDAGLIA D’ORO BRESCIANA


Egli torna, ora, tra noi.
Torna Giuseppe Bertolotti, il figlio di Gavardo e di Brescia, che il padre Cesare crebbe, consacrando nell'amore per Lui e, poscia, nella Sua memoria, il meglio della propria nobilissima vita, tutta dedicata ad affetti, alle idealità, all'arte; torna il giovane che dalle auree vitali delle Alpi Camune e, del mare di Liguria, ebbe la vigoria, la forza e l’anima preparata alle grandi prove; torna il soldato del re, della Carnia, del Carso, degli Altipiani: torna l’Eroe del Badenecche; torna il Martire che Innsbruck vide morire, colla ammirazione istintiva e profonda che la sua popolazione, devoti, quanto mai all’idea militare, seppe e sa tributare alle vere glorie di tutti gli eserciti; torna Colui che dietro di Sé ha lasciato non solo un nome e un esempio, un segno e una virtù, ma anche, in parole mirabili. una Sua ultima volontà, la quale - passione, ardore, monito - risuona e risuonerà santa e sacra.
Non il di Lui spirito torna, perchè, quello, certo, mai si è dipartito da noi e da Brescia Sua; ne torna la Salma gloriosa. ne torna la parola luminosa, fervida alta.
Cesare Bertolotti, ha, appunto, raccolto con religiosa cura, con tenerezza infinita di padre. con cuore di cittadino, le lettere dal fronte, che scrisse Lui, il suo Peppino il libro si pubblica ora, nel mentre è per giungere a Brescia, da Innsbruck, la spoglia lagrimata ed onoranda.
****


Tutti i Bresciani sanno del Capitano Giuseppe Bertolotti; Egli è uno degli eroi nostri, di cui più vivo e più sentito si manifesta e si eleva il ricordo; e bene tale ricordo esprimono due tra le campane della Chiesetta delle Memorie, pio dono della Sig.ra Ida Lancellotti ved. Caldirola; esse sono particolarmente dedicate a Lui, e ogni giorno, colle altre sorelle, salutano i morti, rammentano ai vivi e, per gli uni e gli altri, suonano amore, poesia e preghiera.
Ma anche fuori di Brescia, il nome di Giuseppe Bertolotti è in guisa speciale conosciuto, ammirato ed esaltato; il secondo reggimento di Artiglieria da montagna, ha scritto la Medaglia d'oro, di questo suo Capitano, in testa all'elenco, senza fine, dei propri valorosi; Giannino Antona Traversi che, in pietoso ufficio e santo apostolato, tante tombe di Eroi ha onorato, sente una particolare, toccante venerazione per Giuseppe Bertolotti; gli Uffici storiografici del Ministero della Guerra e il Corpo di Stato Maggiore dell'Esercito, hanno dedicato e dedicano singolare, approfondita attenzione alla vita e alle azioni di guerra, di questa radiosa figura di combattente: il Re e il Governo del Belgio hanno decretato alla memoria di Lui, la ricompensa della Croce di guerra con palma, riservata ai più grandi Eroi; S.A.R. il Duca di Aosta ricordò espressamente il. Suo nome, celebrando coloro che morendo nella nostra guerra, irraggiarono luce di gloria, sulla Accademia Militare di Torino.
****


Insigne, davvero. la Sua figura. di uomo, di soldato, di Eroe.
Il primo contributo alla guerra si sprigionò in Giuseppe Bertolotti dal cuore, dall'anima, dall'ideale, dalla fede, dall’entusiasmo; già prima di dare una stilla di sangue, Egli aveva prodigato il meglio di Sè medesimo; il sacrificio supremo non è la prima, ma la nuova offerta; esso sublima e perfeziona il ciclo di una vita intera.
Ei fu e rimase sempre, senza mutazioni e senza deviazioni, senza dubbiezze e senza esitanze, senza ombre e senza rammarichi, senza soste e senza arresti, per la guerra e per la Patria, per la gloria e per l'onore, per il sacrificio e per l'eroismo: quando a Vicenza invoca di razgiungere il fronte e promette, semplice e sereno, che farà in modo di essere ognora degno del secondo reggimento di Artiglieria da montagna; quando nelle ricognizioni a immediato contatto col nemico e colla morte, riesce anche a studiare, preciso e diligente, preoccupandosi anzichè della propria vita, del presidio e della sistemazione difensiva delle posizioni; quando i meno pensati allarmi notturni lo trovano in trincea, al primo posto, vigile e pronto, mentre quasi oguuno dorme e pressochè tutto riposa; quando a Forcella Giralba, a Forcella di Toblin, in molti altri luoghi e momenti di sommo pericolo, scelto per i compiti più ardui e più tremendi, arde di gratitudine di fronte ai superiori da cui è, così, designato: quando a Cima Undici compie opere di vero prodigio; quando artigliere tra gli artiglieri, alpino tra gli alpini, fante tra i fanti, combatte; quando suile più ardite punte e rocce la Sua batteria fra una valanga e un assalto nemico, spara, spara, spara..; quando l'ora di Caporetto, lo strazia, ma non gli fa perdere la fede: «L'’animo generoso di tanti soldati, che per due anni hanno dato così magnifiche prove di valore, di serena e paziente resistenza ai sacrifici, sentirà che in questo momento, qui difendiamo quanto di più sacro e di più caro abbiamo nella vita, sentirà la voce stessa dei nostri vivi e dei nostri morti che chiede di salvare l’Italia.
Così tra gli slanci e gli eroismi, tra i moti del cuore e l'austera vita del dovere, Egli giunge a monte Badenecche.
Erano i giorni in cui, appunto subito dopo Caporetto, l'Italia rinasceva, ma rinasceva alle prove tremende, alle angosce tormentate, ai sacrifici più gravi.
Il mattino del quattro dicembre 1917, un infernale combattimento si accese sulla linea degli Altipiani; uno dei settori più torturati, fu proprio quello del monte Badenecche; ivi si trovava in linea e dai ventun novembre resisteva, mirabile, la 44.a Batteria del secondo reggimento di Artiglieria da montagna; la comandava e impersonava il Capitano Bertolotti.
Davanti al bombardamento di terribile, inaudita gravità; Egli rimase tra i pezzi. armato di moschetto, e sul nemico appoggiato dalle proprie formidabili artiglierie, ed incalzante, tenne, puntata, micidiale la Batteria; fu ben presto colpito da schegge, più volte ferito, ma seguitò, egualmente, a dirigere il tiro; frattanto, via via, il nemico avanzava e giungeva a pattuglie, a ondate, le schiere, e la Batteria veniva assalita colle bombe a mano: allora non essendo ormai più possibile il tiro, Il Capitano prese ad incuorare i Suoi a resistere per la difesa dei pezzi; cedendo, da ultimo, alla, perdita estrema di sangue, privo di sensi fu raccolto dal nemico. Venne, così, trasportato a Trento, ad un Ospedale da campo, e, poscia, il venticinque dicembre a Innsbruck.
«Era, scrisse appunto da Innsbruck, dopo guerra, la Signora Angelica De Riccabona Ausserer, dama infermiera austriaca, un bel giovane, simpatico, buono, bene educato e forte d'animo; non si lamentò, mai; era gentile e riconoscente. Pieno di speranza e di futura gloria, era superbo d’avere versato il Suo sangue per il bene della Patria diletta».
La signora De Riccabona Ausserer ha anche scritto a Cesare Bertolotti, rievocando gli estremi momenti dell'Eroe: «La notte dal ventotto il vertinove dicembre, ebbe uno svenimento e perdette i sensi; senza rinvenire, morì il ventinove alle ore tredici e dieci minuti. Era circondato da piantoni italiani e da amici ufficiali. La faccia era intatta e specialmente dopo l'ultimo sospiro, divenne tranquilla, vorrei quasi dire soave... gloriosa»
O dama, che nel nome della carità e della religione, superiori alle profonde lotte e alle discordie degli uomini e delle nazioni, hai curato e riconfortato l’Eroe nostro, ne hai vagliato il trapasso, e dal Tirolo lontano, hai, poi, fatto giungere ai padre e alla zia la testimonianze dell'ultimo martirio di Lui, del Suo raggio di finale gloria, siano a te fervide grazie!
****


Giuseppe Bertolotti fu sepolto nei pressi di Innsbruck, nel Cimitero di guerra di Amras.
Il breve spazio di pianura che la zona alpina lascia alla città di Innsbruck, e ai suoi più prossimi dintorni, è per finire al punto in cui sorge questo Cimitero di guerra; esso tocca pressoché la cintura dei monti e delle montagne; ivi, così, il verde fresco che adorna, nella Della stagione, gli ultimi campi, sta per cedere al verde cupo dei pini e degli abeti; mentre il paesello di Amras è ancora al piano, il vicino Aldrans è sui monti; anzi sui monti è già il Castello di Amras e, così pure, in alto appare, poco più a destra, Berg Isel, il colle che a Innsbruck è caro, perché non solo svela splendori maravigliosi di paesaggio, ma anche rivolge alla città caldo linguaggio di ricordi e di glorie.
Alla suggestiva posizione, nel Cimitero di guerra, improvvisato, non corrispondeva, quando noi lo vedemmo nei primi del 1919, interno assetto e sistemazione in tutto completa, di cure, di ornamenti e di artistici aspetti: il campo non cinto di mura, era vasto, ma non, però tanto quanto il numero dei sepolti avrebbe richiesto; di più appariva un po', disordinato e raccoglieva tombe di, morti in guerra, di ogni paese; le nostre truppe di occupazione del Tirolo, è per esse e tra esse, Giannino Antona Traversi, ne hanno poi fatto con culto, con decoro, con arte, il Cimitero dei morti italiani. Nella fossa 8 del campo A del Cimitero di guerra, non ancora, adunque, così sistemato dal nostro esercito, giaceva Giuseppe Bertolotti; nel maggio del 1919, presente il padre, la Salma gloriosa veniva esumata e depositata nell'attiguo Cimitero civile, in attesa di essere trasportata in Italia; i lettori della «Sentinella» hanno avuto, allora, il racconto della pia cerimonia, la quale ebbe particolare rilievo anche per essersi svolta mentre d'intorno erano le milizie italiane, è sventolavano le nostre bandiere.
Sui primi del 1920, le truppe d'Italia, finita la loro missione nel Tirolo, lasciarono la valle dell'Inn; Giuseppe Bertolotti rimase vicino ai fratelli sepolti «nel Cimitero di guerra, che l'esercito nei partire, diede in consegna al Regio Console italiano di Innsbruck.
Ora la Sua Salma parte da Innsbruck, e Brescia l'attende per accoglierla il 23 maggio con orgoglio materno, per onorarla il dì successivo, celebrando austere e solenni esequie, per deporla in nobile tomba, per custodirla all'ombra del ricordì e dalle glorie, delle tradizioni e delle memorie.

[...]

Adunque l'ultima luce per il glorioso combattente, fu la visione di un'Italia più grande e più potente, ma anche più nobile e più buona.
Non ignorava Egli che la vita dei popoli, come e più di quella dei singoli, non sempre unisce alla grandezza della potenza, la nobiltà e la bontà; ma la Sua visione abbracciò e presagì, invece, gli elementi di potenza, riuniti, in piena e salda armonia, colle luci e con i pregi di quanto è nobile e buono.
Si legga e si mediti; secondo il monito, si pensi, si guidino cuori e coscienze, si operi, si guardi alla Patria.
Dall’Eroe e dal Suo Sepolcro, ancora giunge, davvero, una voce che indirizza alle vie più degne e più alte della vita

Brescia, maggio 1923.
EMILIO BARBIERI




FONTE:
• decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org
• vallesabbianews.it
• I Quaderni dell’Associazione Nazionale Alpini - IL LABARO
• portale antenati
• enciclopediabresciana.it
• movm.it
• l'alpino
• La sentinella
• Il popolo di Brescia
• La provincia di Brescia
• L'ingegnere rivista tecnica del Sindacato nazionale f. ingegneri
• albodorolombardia.it/main/get_soldier/43908
• Commentari dell'Ateneo di Brescia

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